Vacanze da expat, la mia Londra vista da casa
<Sei felice?> Mi chiede Simona dall’alto del suo metro e ottanta. Non vedevo Simona da più di cinque anni, da prima di partire per Londra. Quell’estate, quella del 2010, avevo trascorso i due mesi prima di partire, ad Isola del Liri, la cittadina in cui sono cresciuta, nella strana situazione di non lavorare (e soprattutto non dover cercare lavoro) nell’attesa di partire per quell’avventura che, ancora, non sapevo sarebbe durata molto di più che lo spazio di pochi mesi in una vita.
Due mesi di vacanza insomma, in cui mi riprendevo da un anno che mi aveva visto cercare lavoro, lavorare contrattualizzata a progetto (poi finito), chiudere una storia d’amore che valeva una vita e, nella quasi disperazione di non saper dove ricominciare, l’improvviso entusiasmo nel realizzare che forse finalmente era arrivata l’ora di realizzare un sogno, un “mio” sogno, quello di fare lo zaino e provare a vivere una vita diversa, fuori dallo stivale, imparare un’altra lingua, conoscere nuove persone, starmene per conto mio, vivere un’avventura con il brivido equiparabile ad un salto nel buio: nessuna idea su dove/come/se sarei atterrata.
Quell’estate aveva avuto il ritmo liberatorio dell’assenza di responsabilità: coccolata a casa dai miei, ogni giorno me ne andavo al mare per fare un po’ di windsurf e sognare ad occhi aperti su quello che sarebbe stato il mio futuro. Non ne avevo la più pallida idea ma non mi interessava. Sapevo solo che di li a pochi mesi avrei compiuto trenta anni ed improvvisamente non sentivo ci fosse nulla (a parte la mia famiglia) a legarmi al mio paesino (dove in realtà non avevo mai vissuto molto), alla mia una volta amata Roma dove avevo vissuto 10 anni conoscendo la gioia dei tempi dell’Università prima, instaurando i rapporti personali più importanti, quelli che durano per la vita, la speranza di trovare un lavoro poi, alcuni stage, esperienze formative importanti, l’illusione di potercela fare, la durezza della nuova realtà.
Dicembre 2015
Mi ritrovo a la “Cantina Bukowski”, il pub preferito da me e i miei amici, proprio sotto la cascata di Isola del Liri, recentemente classificata seconda bellezza naturale d’Italia. Attorno a me tante persone come non ricordavo ce ne fossero da queste parti: le vacanze di Natale sono la ragione per cui molti degli “emigrati” tornano a ricongiungersi con i familiari a suon di pranzi infiniti e allegre risate a raccontare una vita trascorsa fuori. Dei miei amici di qui, la maggior parte, infatti, vive fuori: Roma, Bologna, Milano le città italiane preferite. Rivedo volti del passato, per alcuni il tempo sembra non essere passato mentre per altri gli anni sono stati meno generosi, lasciando qualche segno del loro passaggio. Per me è una vera sorpresa rivedere persone del liceo, gente che letteralmente non incontravo da almeno dieci/quindici anni. Una strana sensazione quasi a raccontare un senso di appartenenza che sarebbe dovuto esserci ma io non ho mai provato del tutto.
E poi ad un certo punto si chiacchiera e mi ritrovo in un semicircolo dove mi fanno notare che siamo tutti expat. Io a Londra da più di cinque anni, Stefania a Parigi dallo stesso tempo, Andrea a Dublino da dodici anni, il mio amico Lello da tredici a Berlino. Tutti di qui, tutti expat. Parliamo, ci scambiamo un po’ di notizie, ci confrontiamo sulle nostre esperienze ed io non riesco a capire perché sono così stupita. Stupita nel vedere quanti siamo di anime scappate ad un certo punto, alla ricerca della possibilità di vivere e non solo godersi le bellezze del territorio.
Vivo a Londra dove noi italiani siamo quasi mezzo milione e mi stupisco?
E’ inevitabile il bilancio, dopo qualche anno di vita fuori, dopo aver lasciato i vent’anni fermati su foto ricordo, dopo l’aver sudato per ricostruirsi una vita da capo, sono mille le domande che amici e parenti che son rimasti qui ti fanno: ti piace? Che fai li? Ma piove sempre.. Quando torni? oppure Tornerai?
Mille domande sempre uguali a cui tu cerchi di rispondere in maniera esauriente col sorriso sulle labbra cercando di mettere fine il prima possibile a quello che spesso suona più come un terzo grado.
E poi un giorno vai a correre per combattere contro la pesantezza dei chili di cibo ingurgitati in ben due settimane di ferie e incontri un volto del passato.
Simona, con quegli occhi così belli che ho conosciuto così poco ma che a pelle ho sentito amica quell’estate prima di partire.
E lei mi guarda e mi fa la domanda giusta.
<Sei felice?>
Io ci penso un secondo, penso a tutto quello che è stato, la difficoltà iniziale, i vari lavori, case, persone conosciute, persone salutate, la consapevolezza di vivere in un luogo di passaggio, il bisogno di dover a volte innalzare barriere tra me e quelle persone per sopportare meglio il momento in cui se ne sarebbero andate. Penso alle amicizie che sono nate, alle serate di musica e di festa, alle soddisfazioni personali, quelle che ho difficoltà a pensare avrei raggiunto qui. Penso alla scoperta più grande, la valorizzazione degli amori, degli affetti, al fatto che andare via dall’Italia non ti fa smettere di essere italiano come molti, qui, pensano, ma anzi, ti aiuta a valorizzare la bellezza della nostra cultura. Solo che, qui, in Italia, io non ci sto bene.
Penso alla mia vita frenetica a Londra, non mi fermo mai e a volte faccio fatica a vedere i miei amici perché alla rincorsa di una deadline o all’inseguimento di un nuovo progetto. Penso al senso di colpa costante per non essere fisicamente presente nella vita dei miei genitori e al fatto che sento di amarli sempre più profondamente e in maniera viscerale e che quando mi mancano, mi mancano molto e che infondo ho scelto un posto a due ore di aereo.
Penso alla libertà che sento di aver conquistato, libertà da stereotipi, aspettative, desideri degli altri per far spazio ad una vita mia. Penso che io a Londra, non mi annoio mai, non so mai cosa c’è dietro l’angolo ad aspettarmi e che quella sensazione mi da un brividino di cui non so se riuscirò mai a fare a meno. La libertà di sognare, ecco. Esattamente quella cosa che mi avevano tolto cinque anni fa. La libertà di sognare di farcela, la libertà di crederci. E poi penso che io a Londra mi sento a casa. E dopo due settimane mi manca.
Alzo lo sguardo verso Simona, sorrido e le dico, <si, sono felice>
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