Luca Vullo, l’italiano che a Londra fa parlare a gesti

L’arte nascosta nella realtà circostante come elemento da cui prendere ispirazione, da respirare, riprodurre, incanalando tutte le energie possibili per trasformarle in qualcosa di più grande, di diverso, di nuovo. Per alcuni raccontare la realtà non è solo un lavoro ma un esigenza.

Foto by Marco Parollo

La necessità di mischiare ingredienti diversi come amore, rabbia, gioco, risate, dolore  per dipingere un quadro dai mille colori di una cultura forse, o uno spaccato di realtà non conosciute, che vanno svelate al pubblico.

Luca Vullo è un giovane siciliano che di questa esigenza ha fatto il suo lavoro. Documentarista, film-maker, regista, si definisce come un personaggio da una sensibilità particolare che ama raccontare storie. E le racconta bene.

“Figlio dell’arte dell’arrangiarsi” Luca combatte per affermarsi in Italia. Produce vari lavori che in poco tempo diventano virali e attirano l’attenzione degli addetti ai lavori. Mille le esperienze in cui si trova coinvolto, sempre trovando il successo ad attenderlo. Così come con La voce del corpo”, un documentario sulla gestualità siciliana che neanche lui poteva aspettarsi l’avrebbe mai portato tanto lontano. Così lontano che Luca ora è richiesto da realtà come Oxford, Cambridge, The King’s College University per citarne alcune nel Regno Unito e viaggia in lungo e in largo nel mondo per insegnare la gestualità italiana. Infondo si sa, noi italiani siamo conosciuti anche per questo nostro bellissimo modo di esprimerci che, all’estero, è visto come un incomprensibile e affascinante linguaggio e che, a quanto pare, molti vorrebbero imparare.

Ma come si fa dalla vita quotidiana di un centro della Sicilia più bella, come quello di Caltanissetta, a diventare uno di quei personaggi che grazie al proprio talento e lavoro, duro lavoro, vengono ricercati da testate come BBC e The Guardian, solo per citarne un paio?

Non potevo farmi scappare l’occasione di scoprirlo.

Incontro Luca a Camden Town e neanche a dirlo, mi accoglie con un caloroso abbraccio ed un sorriso che la dice lunga sul suo approccio alla vita. Andiamo a prenderci un caffè e cominciamo una lunga chiacchierata, una delle più interessanti mi sia personalmente capitato di avere.

Chi è Luca?

<Luca è un personaggio da una sensibilità particolare, attratto da tematiche sociali, difficili, a volte drammatiche, ma è anche un giocherellone a cui piace vedere gli aspetti positivi della vita e raccontarli con una chiave tragicomica. Luca è un regista, teacher, showman e story-teller che cerca di mettere insieme tutte queste abilità, elaborandole in sinergia; è un ragazzo che ha deciso di puntare tutto sulle proprie risorse lavorando duro per raggiungere i propri obiettivi e, anche se a volte sul filo dell’equilibrismo, ci sta riuscendo. 

E ci sta riuscendo a Londra.  

Perché vale sempre la pena investire sulle proprie capacità quando queste sono riconosciute, valorizzate e condivise. Luca è un ragazzo che ha abbracciato tante sfide, la prima con se stesso, e che ha capito che se ami veramente qualcosa devi fare di tutto per raggiungerlo>.

Ogni percorso si sa, ha un inizio ben preciso, ma poi sono mille le svolte possibili ed i muri che si possono incontrare. Ogni percorso ha i suoi ostacoli, le sue salite e le sue discese ma ad un certo punto, ci si può trovare sulla punta di un monte e finalmente godersi la vista dall’alto, riposandosi un po’ della fatica e riempiendosi gli occhi di nuovi stimoli, pronti a ricominciare di nuovo il cammino perché, quando c’e passione, non ci si accontenta mai ma si vuole di più e poi di più..

Luca il suo percorso lo ha iniziato iscrivendo alla facoltà di Economia e Commercio…

<La mia carriera universitaria nella facoltà di Economia non è durata molto, quasi subito ho capito che la scelta fatta non era la migliore per me. Nello stesso periodo ho cominciato a lavorare come animatore turistico, un lavoro che mi ha insegnato molto e mi ha dato consapevolezza su alcuni aspetti del mio carattere facendomi riflettere sul fatto che era ora di cambiare strada. Andato a Bologna per visitare il Dams, lì ho visto un’altra possibilità e così ho mollato tutto e mi sono trasferito al nord ma anche questa esperienza non è durata molto. Per quanto mi piacesse l’atmosfera e mi sentissi più stimolato a livello artistico, non mi piaceva il fatto che dovessi studiare solo teoria ma non ci fosse nessuna possibilità di fare pratica. Allora ho cominciato ad iscrivermi a vari corsi per sopperire a questa mancanza, qualsiasi cosa pur di stare sul set, imparare ed assorbire qualsiasi cosa potesse arricchirmi. Nel frattempo mi mantenevo facendo mille lavoretti, da vendere i giornali, a portare le pizze, qualsiasi cosa per pagarmi i corsi. Ad un certo punto però, quando mi son reso conto che pagavo le tasse universitarie solo per andare a ripetere le cose che i professori scrivevano nei libri ma senza poterne trarne niente di più, ho lasciato tutto. Nel 2003 ho ripreso la mia valigia e son tornato di nuovo giù in Sicilia>. 

Un altro treno, un’altra direzione, a volte nella vita bisogna saper non aver paura di rischiare..

<Con un bagaglio di esperienze più consapevole, ho deciso di aprire “Onde emotive”, la mia casa di produzione, e ho  prodotto il mio primo documentario. Avevo voglia di promuovere il mio territorio attraverso i personaggi, le storie ed i fatti del mio paese. Cumu veni si cunta è un documentario che parla dell’arte dell’arrangiarsi, capacità connaturata del popolo siciliano che, per ragioni sociali e culturali, ha imparato a fare di necessità virtù. Con un approccio “estemporaneo” e fuori dalla norma forse, ho richiesto la partecipazione dell’allora assessore alla Cultura del mio Paese, che entusiasta del mio progetto, volle partecipare promuovendolo sul territorio. Il successo fu poi maggiore delle aspettative, addirittura lo si trovava in formato pirata, una sorta di successo “underground”. Da li ho iniziato una serie di collaborazioni con le Istituzioni tese a raccontare, attraverso i miei lavori, gli aspetti socio-culturali delle mie terre. Le mie ricerche, mi hanno portato a scoprire tanto delle mie radici, così, venuto a conoscenza dell’aspetto minerario che caratterizza la mia regione, ho deciso che andava raccontato. Dallo zolfo al carbone, è il mio primo lavoro realizzato con fondi privati ed una piccola partecipazione del Comune ed il primo importante nell’ambito cinematografico. Più di duecento proiezioni in tutta Italia e nel mondo, vari premi riscossi e ottime critiche. Un successo che mi ha ripagato enormemente dei sacrifici di quel periodo e mi ha proiettato in un’altra fase della mia vita>.

In Italia si sa, emergere è difficile anche quando si ha talento e voglia di arrivare. Luca questo lo sa  e così diventa un po’ l’agente di se stesso..

<Vista la buona critica ricevuta da questo lavoro, ho deciso che dovevo fare di tutto per farlo conoscere, così ho riempito la valigia di copie del mio documentario e ho cominciato a viaggiare in lungo e in largo per proporlo in differenti situazioni. Si chiama “self-promotion” ed è una cosa che non ho mai smesso di fare perché per emergere bisogna provare tutte le strade possibili. Nello stesso periodo però, collaboravo anche con scuole, lavoravo con i bambini e ragazzi organizzando laboratori di cinema, realizzando video musicali, insomma cercando di fare il più possibile. I sacrifici di quel periodo sono stati grandi, ma ormai avevo capito che questa era la mia strada e non volevo/potevo mollare, quindi l’unica alternativa era fare tutto il possibile, e anche di più, per emergere>.

luca v con le scuolescuole vulloclassi vullo

Luca comincia ad essere conosciuto dagli addetti ai lavori, il suo nome comincia a circolare, così succede che tra il 2010 e il 2011 si ritrova ad affrontare un periodo particolarmente impegnativo..

<Barcamenandomi tra un’attività e l’altra in quegli anni mi son ritrovato a seguire diversi progetti. Nel 2011 poi sono stato chiamato a dirigere il Festival di Lampedusa e, nonostante il periodo fosse particolarmente difficile per i problemi legati all’immigrazione di cui l’isola è purtroppo spesso protagonista, la manifestazione fu un successo. Dopo un periodo così intenso ed emotivamente stressante però, ho sentito l’esigenza di lavorare ad un documentario più “leggero” e raccontare, attraverso una chiave comica, un aspetto della mia cultura che ha reso famosi nel mondo noi siciliani e italiani in generale. Vinto un bando di concorso indetto dalla Regione, è così nato “La voce del corpo”, un documentario che esplora la ricchezza del linguaggio non verbale di cui noi siciliani siamo naturali portatori e attraverso il quale comunichiamo a volte senza neanche il bisogno dell’ausilio delle parole. Racconto un aspetto folcloristico delle mie zone, un argomento quasi per nulla esplorato che svela in realtà una parte importantissima delle radici della cultura dell’isola. E’ stato un vero e proprio atto d’amore verso la mia Regione realizzato da un team completamente siciliano, un team che attraverso la sua bravura e la “sicilianità” più intrinseca, ha reso questo documentario un vero successo. Anche se all’epoca partire non era ancora nei miei progetti, questo lavoro in realtà, guardava già con un occhio all’estero e forse per questo riesce a spiegare così bene l’arte del parlare con il corpo anche a chi in Italia non c’e neanche mai stato. 

Le difficoltà nel portare avanti questi lavori però, sono state molte, e la fatica ad un certo punto ha preso la meglio, così, ho cominciato a pensare all’eventualità di emigrare ma, proprio in quel momento, mi son stati commissionati due nuovi lavori che mi hanno letteralmente rapito; un documentario sul tema dell’Alzheimer, commissionatomi da una cooperativa sociale, ed un altro sulla legalità girato all’interno del carcere minorile di Caltanissetta mentre intanto, continuavo a tenere laboratori di cinema per i ragazzi nelle scuole>.

Successi uno dietro l’altro, riconoscimenti e premi, Luca è sempre più richiesto e acclamato in alcuni circuiti ma nonostante questo, qualcosa non va secondo le aspettative, qualcosa non funziona, qualcosa è “bloccato”…

<Ad un certo punto, nonostante le gratificazioni e i successi raggiunti, i problemi con la realtà circostante hanno avuto la meglio, ho avuto la sensazione di trovarmi in uno stagno, in sabbie mobili dove chi cerca di camminare sprofonda e nelle orecchie, l’eco di una frase sentita così tante volte che ad un certo punto pensavo di stamparla su una maglietta.. “E’ tutto bloccato”… Ovviamente si parlava di soldi. L’entusiasmo di istituzioni e cooperative nel commissionarmi o aderire a miei progetti, evidentemente cozzava con la loro possibilità o volontà di pagare e ad ogni nuovo ingaggio le trattative erano sempre più estenuanti, un vero e proprio calvario, senza considerare la tendenza esasperata di produttori ed altri addetti ai lavori al voler schiacciare chi cerca, nel suo piccolo, di emergere.

L’Italia è un Paese con tante belle teste e tante intelligenze ma credo che il problema più grande sia il totale rifiuto nel voler valorizzare le risorse; si tende a schiacciarle piuttosto che farle emergere, in un meccanismo deprimente in cui vince il nepotismo ed un atteggiamento mafioso per cui solo chi ha gli agganci giusti va avanti. E allora ci si ritrova ad impiegare il tempo alla ricerca di quei contatti, diventa quasi un’attività a tempo pieno, in un’ottica miope che la vede come unica alternativa possibile. Purtroppo questi non sono stereotipi, l’Italia si fonda su un sistema di questo tipo in cui i talenti non vengono riconosciuti ma si tende a sopprimerli nell’assoluta assenza di ogni tipo di meritocrazia.

Il risultato è un immenso senso di frustrazione. Frustrazione e rabbia. Questa rabbia l’ho raccontata in un cortometraggio il cui protagonista è Roy Paci. “Polipanza” è un lavoro in cui si esplora il veleno di una generazione dovuto a quest’ottica nepotista e mafiosa, ma al momento è un lavoro che per varie ragioni, resta nel cassetto>.

E quel senso di frustrazione è un sentimento che accomuna i tanti, tantissimi figli di una generazione alla ricerca di un trampolino per scavalcare quei muri così alti che a volte sembrano insormontabili e che scatenano la rabbia dei molti che alla fine decidono di cercare fortuna all’estero. Luca allora, fa un’altra valigia, destinazione Londra.

<Ad un certo punto guardandomi attorno mi sono reso conto che l’atteggiamento predominante era quello di accettazione, sopportazione, quasi tolleranza. Ed io ho deciso di non voler fare parte della categoria dei rassegnati. Per me quella di rassegnarmi non è mai stata un’alternativa, semmai un suicidio premeditato ed a cottura lenta. Passo al piano B e faccio un biglietto solo andata. 

Deciso di andare a Londra, il mio timore più grande era la lingua: non parlando una parola di inglese avevo bisogno di una strategia, un programma di azione al centro del quale c’era la ferma intenzione di partire per andare a fare il mio lavoro. Di nuovo, riempio la mia valigia con le mie mille esperienze ed appena arrivato a Londra nell’autunno del 2012 comincio a fare quello che avevo imparato anni prima, mi auto-promuovo. Presento i miei lavori attraverso vari canali tra cui l’Istituto Italiano di Cultura a cui sottopongo il mio documentario La Voce del Corpo. Proiettato lo stesso mese e con tempi di promozione strettissimi, la serata fu un vero successo. Da li gli eventi si sono succeduti velocemente e in maniera devo dire inaspettata..> 

luca e tassista

Foto by Marco Parollo

Luca, il cui talento anche in Italia non è certo rimasto inosservato, è subito notato.

<Uno degli aspetti che amo di questa città è che ti sorprende sempre e rende possibile quello che fino a poco tempo prima non avresti forse mai neanche immaginato. Dopo la proiezione all’ICI infatti, il documentario è stato visto da Richard Eyre, regista che in quel momento stava preparando “Liolà”, una piéce pirandelliana per il National Theatre di Londra. Un giorno così vengo contattato dal suo team, il regista mi voleva per un workshop sulla gestualità siciliana, un’esperienza entusiasmante: provate ad immaginare un teatro con 45 attori posizionati a ferro di cavallo che tutti insieme imitano i tuoi gesti, ti chiede consigli e si stupisce nell’apprendere uno dei linguaggi più belli del mondo. Le lezioni uno a uno poi, dove spiegavo ad ogni singolo attore come esprimere ogni concetto attraverso il corpo sono state un successo grandissimo. Senza considerare l’emozione nel vederli in scena in uno dei teatri più famosi del mondo.. Fantastico>. 

Londra, la giostra da cui tanti, una volta su, non vogliono scendere, continua a girare vorticosamente portando il nome di Luca ancora più in alto e così presto si accorgono di lui e delle sue capacità, anche testate come il The Guardian e la BBC che lo intervistano. Ed ecco che Luca si trova a gesticolare italiano in tutto il mondo, partendo dalle Università più famose del Regno Unito.

<La magia di Londra esiste e per quanto all’inizio non parlassi una parola di inglese ho capito che era vero ciò di cui avevo sentito parlare.. se hai qualcosa da offrire questa è una città pronta ad accoglierti e così mi sono ritrovato ad essere contattato dalle università di Bristol, The King’s College University, Oxford, Cambridge e così via, interessate ai miei workshop di gestualità per i loro studenti di italiano. In un anno e mezzo mi sono ritrovato a viaggiare in tutta Europa e oltreoceano per presentare i miei laboratori di gestualità. Nel frattempo però continuavo con le mie attività collaterali e la mia casa di produzione. Il bello di lavorare a ritmi tanto frenetici è che tutto diventa stimolo per nuove sfide e la passione per il mio lavoro si nutre di questo>. 

Ma gli italiani che vanno all’estero spesso hanno paura dei propri limiti e difficilmente riescono ad emergere con tanta veemenza e successo. Come si fa?

<La mentalità anglosassone è il terreno fertile per chi decide di mettersi in gioco ed abbracciare la sfida dell’incerto ma bisogna credere in se stessi e in quello che si fa. Il complesso di inferiorità dell’italiano medio all’estero è dovuto all’assenza nel nostro Paese di riconoscimento e assoluta mancanza di meritocrazia, un sistema a cui ci siamo quasi assuefatti ma che va combattuto. Alla stregua esistono anche tanti italiani che assumono un atteggiamento un po’ snob e che per questa ragione, una volta fuori dai confini, vanno incontro a grandi delusioni. Il sistema qui è diverso, bisogna studiarlo, capirlo ed adottare la strategia migliore per trarne il massimo vantaggio. Bisogna essere in grado di spogliarsi di questi complessi quando si decide di emigrare, senza mai dimenticare l’importanza di partire con una strategia. Rischiare ha un senso se si è pronti a mettersi in discussione e a sfidare in primo luogo se stessi e le proprie capacità>. 

Prenotare un biglietto solo andata per Londra però, non è poi sempre la soluzione giusta per tutti quegli italiani che decidono di voler emigrare. Londra è una città che va veloce, piena di opportunità ma anche di difficoltà, allora cosa consigliare a chi sta pensando di venire a vivere qui?

<Non mi stancherò mai di ripeterlo, per me, a prescindere dalle ragioni che spingono a lasciare l’Italia e a scegliere Londra, la cosa più importante è partire con una strategia. Questa è una città che offre tanto ma che potenzialmente può distruggere chi non è pronto a viverla nelle sue mille sfaccettature. Ancora prima di partire bisogna decidere come muoversi, cercare lavoro, contatti, qui non c’e molto tempo per pensare ed è facile perdersi. Bisogna essere aperti a 360”, non dimenticare che questo è si un posto dove esiste la meritocrazia, ma è anche una città super competitiva dove mille sono le difficoltà da affrontare se non si viene già con un’idea precisa di cosa si vuole fare>.

Italiani a Londra. Quasi mezzo milione di vite che hanno deciso di lasciare il Bel Paese per mettersi alla prova e scoprire la propria America. Ma chi sono poi questi italiani? Luca, documentarista curioso dall’anima un po’ antropologa e sempre teso a scoprire le realtà in cui vive, decide che bisogna scoprirlo. Come? Attraverso un nuovo documentario in lavorazione adesso.

<Raccontare gli italiani a Londra è diventata un’esigenza nata dallo scoprire mille aspetti diversi legati al fenomeno dell’emigrazione della nostra generazione che, in grandi numeri, sceglie questa città come punto di ripartenza. Negli anni siamo sempre di più ma ad un certo punto mi sono posto delle domande su questo nuovo fenomeno, domande del tipo.. ma noi, italiani a Londra, come stiamo? Ho deciso che volevo scoprirlo, fare un’analisi che poi è anche un’auto-analisi di questo spaccato della nostra società all’interno di una realtà estera.  L’immigrazione è sempre stata una caratteristica del popolo italiano e mi sembrava importante raccontare l’aspetto più contemporaneo. La sfida è scoprire, osservare e raccontare chi siamo, cosa facciamo, il successo e le delusioni a cui in molti qui vanno incontro, insomma testare il polso della nostra situazione in questa città, in questo momento. E’ così che nasce l’idea di Influx, un progetto indipendente di cui io sono l’autore, regista e produttore. La sua bellezza e peculiarità sta anche nel fatto che sarà completamente realizzato da italiani. Dal team, a ovviamente le persone con cui ci interfacceremo ed intervisteremo, fino agli sponsor e gli enti che ci danno il patrocinio culturale:  Ambasciata, Consolato Generale, Istituto Italiano di Cultura, il progetto è totalmente “made by italians”>. 

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