Luca Barassi, un italiano alla guida dell’ Abbey Road Institute London

Abbey Road Studios

Pensate ad una realtà famosa nel mondo come quella degli Abbey Road Studios, aggiungeteci poi un italiano che, da 13 anni a Londra, è riuscito a costruire una carriera fatta di amore e successo in quello che è il suo ambiente naturale, il mondo della musica.

L’intervista che ho avuto modo di fare recentemente è di quelle che invitano ad ascoltare ogni singola parola, sentire di ogni episodio, cercare di comprendere ogni sfumatura di un’esperienza che sa di impresa, ma che è solo una parte di una vita piena di scopi prefissi ed obiettivi raggiunti.

Oggi vi racconto di Luca Barassi, italiano, ingegnere del suono e primo direttore in assoluto della nuova istituzione nata questa primavera, la Abbey Road Institute London.

La storia di Luca è il racconto di un amore di quelli che dura per sempre, fatto di attese, sacrifici, emozioni, gioie e soddisfazioni. Un amore che, nato nelle calde terre napoletane, è esploso sui banchi di una scuola di Londra e si è consolidato negli studi di registrazione che, Luca, un giorno, si è trovato poi a rimettere in piedi come manager.

Difficile narrare una storia così e allora mi faccio raccontare come è iniziato questo incorruttibile rapporto con la musica, praticamente unica musa nel determinare scelte e percorsi di un ragazzo che, fin dall’adolescenza, aveva compreso che non tutto di quel mondo, si riduceva a note e pentagrammi.

“Non sono figlio di musicisti ma mio padre è sempre stato un grande appassionato di musica e così quando ero adolescente mi ha permesso di scoprire, attraverso la discografia che negli anni aveva collezionato, le migliori realtà che il panorama musicale mondiale potesse offrire. Attraverso i suoi vinili, disco dopo disco, ho sviluppato un mio gusto personale e particolare. La fortuna, poi, ha voluto che un fratello di mia madre, lo zio che mi ha regalato la mia prima chitarra, avesse a casa un piccolo studio di registrazione ed io, ogni volta che andavo a trovarlo, rimanevo completamente affascinato ed ipnotizzato dalle funzionalità ed i suoni emessi da quelle strumentazioni che ai tempi mi sembravano così complesse. In quella stanza il mio interesse per la musica è, di certo, andato ad incrementare… Non so se esista la possibilità di avere questa passione nel sangue ma fatto sta che mio nonno, medico e poeta, per hobby componeva musica, un hobby che però non era solo un semplice passatempo ma lo portò anche a collaborazioni con nomi come Jean-Paul Belmondo, ad esempio. Parlando del mio primo approccio alla musica poi, un episodio che ricordo con simpatia è quello di quando a 16 anni ho comprato la mia seconda chitarra con un assegno scoperto. Ero così determinato a voler entrare in possesso di quello strumento adocchiato in un negozio di Napoli che ho voluto assumermi il rischio, pena ricevere dopo due giorni una telefonata dalla banca e correre da mia madre in cerca di aiuto”. 

Mentre parla, Luca sorride e non posso non notare la luce che si accende nei suoi occhi mentre cerca di spiegarmi con le giuste parole quanto quel rapporto con la musica fosse speciale e non solo un vezzo da adolescente alla ricerca di successo. Così Luca fa gavetta, inizia con i suoi primi gruppi e le prime registrazioni mentre l’urgenza di scoprirne di più diventa sempre più forte. 

“Da adolescente ero il tipico studente che a scuola faceva il minimo indispensabile per superare l’anno, non ero particolarmente motivato. Tutto quello che volevo era suonare e imparare i trucchi del mestiere di tecnico del suono, materia che all’epoca non aveva un suo corso di studi, ma era difficile convincere i miei genitori che il mio desiderio non era dettato da una semplice voluttà adolescenziale. Sono molto fortunato e provengo da una famiglia meravigliosa e forte che mi ha sempre appoggiato nelle mie scelte ma che, allo stesso tempo, come tutte le famiglie, voleva essere certa di indirizzarmi verso il percorso più giusto. Una famiglia dalle professionalità forti: mia nonna, primo avvocato donna penalista del sud Italia che dopo anni di brillante carriera ha conseguito una seconda laurea ed è diventata psicoterapeuta, un nonno dermatologo che dopo sei anni di prigionia in guerra, una volta tornato, ha conseguito una seconda specializzazione diventando dentista senza mai abbandonare, però, la sua passione per poesia e musica, mia madre anche lei psicoterapeuta e poi mio padre, architetto, presenza importantissima della mia vita che oltre alla musica mi ha trasmesso anche la passione per il design. Con una famiglia così non è stato semplice far comprendere che la mia passione potesse essere un lavoro “serio” e non solo un capriccio da farmi passare. Così dopo la scuola mi son ritrovato ad iscrivermi a medicina, facoltà che dopo il primo esame seppur passato brillantemente, avevo capito non avrebbe mai potuto darmi quello che cercavo. Nel frattempo continuavo a suonare e a fare esperienze come tecnico del suono in alcune realtà napoletane, sporcandomi le mani con ciò che mi piaceva, imparando i rudimenti di quello che un giorno sarebbe stato la mia linfa vitale e mettendo in piedi due gruppi musicali che ancora oggi esistono e che sono stati parte importantissima della mia prima identità di musicista. Mio padre che da sempre ha sostenuto e seguito la mia passione, mi aiutò a costruire un piccolo studio di registrazione all’ultimo piano di casa dove sono nati i Radical Kitch con i quali sperimentavo le mie conoscenze di ingegneria del suono. Grande espressione di quella che già ai tempi sapevo essere la mia passione sono gli Slivovitz, fondati nel 2001 insieme ad altri amici tra cui Domenico Angarano e rivelazione dell’amore che noi tutti del gruppo mettevamo nella nostra musica. Per quanto negli anni la formazione sia cambiata varie volte, gli Slivovitz sono sempre stati sin dall’inizio un gruppo che andava verso una direzione ben precisa: suonare guidati dal puro piacere, dalla vera passione ma con grande professionalità e ambizione. Quando sono partito una delle cose per cui ho sofferto di più è stato proprio lasciare quel gruppo di amici con cui condividevo la passione più grande… ma sapevo che qualcos’altro mi stava aspettando”.

Abbey Road Penthouse

Abbey Road Penthouse

Luca, nel frattempo iscrittosi alla facoltà di Lettere dove ha sostenuto un numero discreto di esami, suona quasi di nascosto tutti i giorni di un inverno molto importante della sua vita in cui, la ricerca quasi spasmodica della situazione “giusta” per lui, lo porta a scoprire la realtà che avrebbe cambiato il suo futuro.

“Mentre studiavo, lavoravo e suonavo, sentivo sempre di più che mi mancava qualcosa, volevo imparare e capire tutto ciò che fosse possibile sull’ingegneria del suono e così arrivai a scoprire dell’esistenza della SAE e andai in avanscoperta. Mio padre, come sempre mio migliore alleato, mi accompagnò nella mia esplorazione e dopo aver visitato prima la sede di Milano e poi quella di Londra, la decisione fu presa. Avendo frequentato una scuola americana, il mio inglese era già ad ottimi livelli e la sede londinese sembrava più adatta alle mie esigenze. Anche i miei genitori ormai si erano convinti del fatto che il mio non fosse solo un capriccio ma una grande passione che andava esplorata. Così alla fine, arrivò il momento di prenotare quel biglietto solo andata ed andare incontro ad una nuova fase della mia vita.”

Luca non fa parte di quegli italiani che partono pensando di non tornare o perché delusi dal proprio Paese. Lui semplicemente segue la passione che gli ribolle dentro e che determina le sue scelte. Così arriva il momento di lasciare il calore di Napoli, la band che aveva formato, gli amici di una vita e si ritrova a scoprire un nuovo mondo mentre da ragazzo si sorprende a diventare uomo in un altro Paese.

“Quel periodo è stato un momento pazzesco della mia vita. Dopo aver inseguito per tanto tempo il sogno di dedicarmi alla musica a tempo pieno, mi ritrovavo a diventare uomo in un paese straniero dove tutto dipendeva da me, fallimento o successo, li non ci sarebbe stato nessuno a coprirmi le spalle, darmi una mano. Tutto quello che avrei fatto da quel momento in poi avrebbe determinato il mio futuro. Avvertivo la sfida e l’entusiasmo mi animava.”

Era il 2002 e Luca scopre che iniziare una nuova vita da soli può avere delle difficoltà.

“Senza casa e senza essere totalmente consapevole della direzione che stavo per prendere al mio arrivo a Londra ero un ragazzino che non aveva mai vissuto da solo e che si faceva guidare solo dall’enorme fuoco che mi bruciava dentro. Le prime settimane fui ospitato da Francesco Piccinno, un amico pianista che mi aveva letteralmente “portato” a Londra a bordo della sua station wagon carica di tutte le mie strumentazioni ma, ad un certo punto, dovetti cercare casa per scoprire così quanto cara fosse Londra rispetto a quello che aveva da offrire, appartamenti mal ridotti e pieni di gente, e la consapevolezza di essere lontano da quello che, fino a quel momento, aveva significato “casa”. A distanza di anni mi rendo conto di quanto arrivare in questa città sia stato un momento catartico della mia vita, il salto verso l’età adulta, la presa di coscienza di cosa volessi e il dover finalmente assumermi delle responsabilità. Il non avere più davanti gli occhi l’immagine che gli altri avevano di me o almeno la mia percezione dell’immagine che gli altri potessero avere di me, mi ha permesso di mettermi in discussione e di affrontare le cose in prima persona sapendo di essere solo ma non in solitudine. Il cambio di scenario, l’assenza dei miei amici di sempre e della mia famiglia, insomma, l’aver abbandonato la mia rete protettiva per inseguire una passione è stata una sfida che ha segnato quel periodo e cambiato la mia vita per sempre permettendomi di conoscere ed esplorare un lato di me che ancora non conoscevo”. 

Trovata casa a pochi giorni dall’inizio della scuola i ritmi di vita cambiano così come le priorità di quel ragazzo di 22 anni che vede le sue giornate scandite da tempi diversi…

“Iniziata la scuola, la prima sensazione che ho avuto era di essere in tremendo ritardo. Sembrava che tutti intorno a me avessero già vissuto altre vite, chi aveva viaggiato tantissimo, chi fatto chissà quali esperienze… per poi invece rendermi conto che le cose non stanno sempre come sembrano. Fatto sta che mi sono scoperto divorato da una fame di conoscenza che non avevo mai sperimentato prima, trascorrevo le mie notti a studiare assaporando il piacere di apprendere cose che non conoscevo, preferendo spesso lo studio alle uscite con gli amici, quell’anno è stato un anno di grande rivelazione per me, il momento in cui ho preso coscienza di me stesso. Quello che ho imparato durante il corso di studi alla SAE andava molto oltre le materie di esame, piuttosto ho scoperto cosa volesse dire aprire la propria mente, diventare adulto nella consapevolezza di dover dimostrare a me stesso dove potessi arrivare e cosa fosse realmente importante per me”. 

Quelle stesse aule che hanno visto arrivare un giovane Luca alla rincorsa di un sogno, sono poi diventate l’ambiente in cui costruire una brillante carriera fatta di determinazione, talento e dedizione che vede l’impegno con la scuola in parallelo con lo sviluppo di altri progetti. Ma come si fa a diventare da studente a manager di una delle scuole più prestigiose del panorama mondiale?

“Diplomato con il voto più alto della classe, a poche settimane dalla fine del corso mi fu proposto di lavorare all’interno della scuola come supervisor. Dovevo quindi occuparmi della manutenzione base degli studi supportando gli studenti nel loro utilizzo ma, in realtà, ricoprii quel ruolo solo per pochi mesi. Infatti a gennaio 2004 il capo degli insegnanti mi propose di prendere una cattedra e ammetto che, in quel momento, sono entrato nel panico. Come in tutti i momenti catartici della mia vita ho consultato mio padre che mi ha incoraggiato ad accettare. Per me che non avevo mai insegnato e neanche mai preso in considerazione l’idea di farlo, fu davvero un momento pazzesco: trascorrevo ore e ore a preparare le lezioni finché dopo qualche mese mi sentivo già molto più “confident” e tranquillo senza considerare che il feedback degli studenti era davvero entusiasmante. Così dal 2004 al 2009 ho insegnato mentre continuavo a lavorare come ingegnere del suono da free-lance partecipando a progetti interessanti sia a Londra che fuori tra cui, nel 2007, la produzione del secondo disco degli Slivovitz, “Hubris”, a cui ho partecipato davvero con enorme piacere. Gli Slivovitz per me sono sempre stati prima di tutto un gruppo di amici e poi anche grandi professionisti con cui lavorare, per cui produrre un loro disco per me che ad un anno dalla loro fondazione ero andato via, è stato un po’ come chiudere un cerchio, in senso positivo, e dare ancora il mio contribuito mettendo a disposizione le competenze acquisite in quegli anni lontano da Napoli. Nel 2008 poi, fui chiamato dai vertici SAE per aiutarli nel trasferimento della scuola che veniva spostata da Caledonian Road a Kingsland Road e, per una serie di circostanze venutesi a creare, succede che incontro il proprietario della SAE che, in un weekend pazzesco, mi aiuta a smantellare gli studi. Una volta trasferiteci però, il nuovo edificio che ospitava la scuola non aveva tutte le caratteristiche di cui avevamo bisogno, ci furono alcuni problemi e mi fu chiesto di mettere a disposizione le mie competenze per aiutarli per cui, ad un certo punto, oltre ad insegnare, mi ritrovavo ad essere capo del team dei supervisori, responsabile di 12 studi di registrazione e il tutto praticamente dalla notte al giorno. Da li le cose si sono poi mosse rapidamente, lasciai l’insegnamento e fui promosso ad assistente manager fino a quando dopo poche settimane il proprietario della SAE tornò in visita nella sede di Londra e decise che da quel momento sarei diventato il manager dell’intera scuola”.

Slivovitz- Hubris Recording Session

Slivovitz- Hubris Recording Session

Periodo particolare quell’anno per Luca che in piena crisi finanziaria si ritrova a capo di una delle scuole più importanti del panorama mondiale dell’ingegneria del suono a dover risolvere problemi più grandi di lui.

“L’edificio in cui ci eravamo trasferiti era chiaramente non all’altezza delle nostre esigenze per cui mi son ritrovato a dover cercare un nuovo posto dove poter riorganizzare gli studi e fare in modo che fossimo pronti ad una tale espansione della scuola. La ragione che mi ha spinto ad accettare il ruolo di manager in realtà, era l’amore profondo che io avevo per quella scuola per cui mi ero trasferito anni prima lasciando il mio Paese ed in cui ero diventato uomo. Non era un momento semplice ma, come sempre amante delle sfide, ero entusiasta all’idea di contribuire per migliorare il nome della scuola. Dopo aver trovato gli edifici dove ricollocare gli studi mi sono occupato di ogni dettaglio fino anche al design, posso davvero dire di aver dato anima e cuore a quella scuola che amavo per quello che aveva rappresentato per me e che volevo rappresentasse ancora per altri studenti”.

Il momento più bello però è quello in cui Luca può condividere questa grande soddisfazione con la sua famiglia…

“Avere la possibilità di mostrare ai miei genitori e a mia sorella quello che avevo raggiunto è stata un’emozione bellissima, chiusi le porte dell’Istituto e li portai a fare un giro dell’intera scuola. Poter condividere quella soddisfazione e vedere nei loro occhi l’orgoglio che provavano è, di certo, uno di quei ricordi che mi accompagneranno sempre. E’ stato un momento importante su più fronti poiché se mio padre mi ha aiutato nella crescita professionale, mia madre lo ha fatto per quella personale,  infondendomi sicurezza e incoraggiandomi ad avere fiducia in me stesso e quella serata insieme nei corridoi della scuola, era il mio modo di ringraziarli. Avevo il desiderio di restituire un pochino di quella fiducia e quel sostegno che non mi hanno mai fatto mancare e non c’era modo migliore di farlo che mostrandogli il risultato di anni trascorsi fuori ad inseguire quella che, da sempre, avevo sentito essere la mia strada”.

Ogni passo compiuto da Luca è stato dettato dalla grande passione che gli bruciava dentro e che negli anni ha trasferito prima nello studio, poi nell’insegnamento e infine nel suo ruolo di manager. Fino al giorno in cui ha deciso di lasciare la SAE.

“Sin dall’inizio del mio percorso alla SAE mi son sempre trovato a mettermi alla prova con nuove sfide ed impegni. Ho insegnato quando non lo avevo mai fatto prima, ho imparato ad assumere incarichi di responsabilità provando prima di tutto a me stesso che ero sempre all’altezza della situazione, fino a diventare il manager della scuola che per me ha significato tantissimo ed imparando moltissimo. Sono sempre stato fiero di quello che facevo mentre lo facevo e non ho mai avuto rimorsi perché ho sempre vissuto il mio lavoro come una missione. Nel 2011 la SAE viene venduta, diventiamo a tutti gli effetti parte di una corporation e le cose cambiano ma, più che altro, comincio ad avvertire l’assenza di sfide dietro l’angolo insieme al desiderio di risporcarmi le mani, di riprendere contatto con quello che mi aveva appassionato in primo luogo. Così decido di lasciare e andare incontro a nuove opportunità che speravo si sarebbero create”.

Luca che a Londra ha creato dal nulla una carriera brillante determinata dal suo senso di intraprendenza, pervicacia, talento e amore verso il suo lavoro, non rimane a lungo disoccupato ma anzi presto qualcuno bussa di nuovo alla sua porta proponendogli un nuovo lavoro… Il nome è di quelli grossi, difficile non accettare.

“Quando sono stato contattato dalla UMG (Universal Music Group) non ci potevo quasi credere. All’interno di un piano di espansione degli Abbey Road Studios stavano pensando di aprire una scuola per cui, avendo sentito parlare della mia esperienza alla SAE, mi volevano a bordo. Inutile dire che per chiunque lavori in questo campo, al sentire il nome degli Abbey Road Studios è difficile anche solo pensare di rinunciare. Così ci siamo messi a lavoro per creare quella che, da pochi mesi, è la prima scuola degli Abbey Road Studios, la Abbey Road Institute in cui insegniamo ingegneria del suono e produzione musicale e di cui io sono il managing director. Praticamente io sono il primo “employee” ufficiale di Abbey Road Institute in tutto il mondo e a breve apriremo altre quattro scuole a Berlino, Monaco, Sidney e Melbourne”.

Una sfida nuova che si colloca negli emisferi del prestigio che solo un Istituzione mondiale come quella dei famosi studi londinesi può avere, una sfida che porta il carico di molte responsabilità.

“Le responsabilità sono parte del gioco ed è quello che rende la sfida interessante. L’idea di creare qualcosa di nuovo, avere una pagina totalmente bianca da scrivere potendo così utilizzare al massimo la mia creatività e le competenze acquisite finora è entusiasmante, è bellissimo essere parte centrale del processo creativo piuttosto che andarsi ad inserire in equilibri preesistenti. La sfida è grande ed è per questo che mi anima di energia nuova”

E’ difficile non farsi contagiare dall’entusiasmo di Luca. Lo guardo mentre continua a raccontare e penso che la sua determinazione è impressionante e che forse una città come Londra è davvero il luogo giusto per rincorrere certi sogni, fare propri gli ostacoli per sormontarli e raggiungere il traguardo. Il tutto con umiltà e lo sguardo sempre attento a cogliere nuovi stimoli per non smettere di imparare.

Quali le luci e le ombre di questo luogo così “challenging” come forse solo Londra è?

“Tra le cose che ho imparato nel mio percorso, finora, c’è l’importanza di avere sempre un apertura mentale ad ogni possibile stimolo nascosto in qualcosa intorno e quindi l’importanza di non peccare mai di “hubris” perché quello è il momento in cui facilmente si può cadere nella trappola dell’arroganza e non cogliere magari un aspetto importante perché diverso dal punto di vista che si possiede. Nella musica, così come nella vita, il confronto è fondamentale per crescere, migliorarsi, esplorare terreni nuovi e crescere. Londra è la città dove poter confrontarsi tutti i giorni con qualcosa di nuovo. E’ una città che ti accoglie a braccia aperte e ti da la possibilità di provare che puoi farcela. Non conosco nessuno che venuto qui con le idee chiare su cosa fare, non sia poi riuscito nel suo intento o quantomeno non sia riuscito a mettersi sulla strada giusta per raggiungere il suo scopo. Questa è una città che non conosce nepotismo, dove la meritocrazia è un valore importante e condiviso per cui se vali davvero, prima o poi vieni riconosciuto. Quando sono arrivato qui io ero uno studente qualunque, uno sconosciuto tra tanti il cui padre e madre sono totalmente estranei, il cui nome non conta nulla ma di cui è contato il desiderio e la capacità di dimostrare risultati. Tutto quello che ho avuto nella mia vita l’ho avuto perché lo volevo e ho lavorato duro per raggiungerlo e per me questo è fenomenale. Bisogna avere le idee chiare ed essere disposti a lavorare duro, un po’ più degli altri, e allora Londra può abbracciarti. Se dovessi pensare ai lati negativi di questa città ciò che mi verrebbe da dire è che Londra a volte può farti sentire solo. Questa è una città dove esistono diversi livelli di rapporti sociali, un livello molto superficiale che è facile condividere e godersi ma che si esaurisce molto rapidamente, mentre stabilire legami veri ed amicizie reali è molto più difficile, specie per chi viene dall’Italia. Londra è una città molto aperta agli estranei più che agli stranieri, è una metropoli così grande e piena di culture diverse che la gente è abituata a confrontarsi con le differenze, cosa che invece manca a noi in Italia che così perdiamo il grande vantaggio culturale che può derivare dall’espansione e dalla crescita che il confronto con l’estraneo può darti, ecco perché è importantissimo cercare di essere aperti, scrollarsi di dosso i pregiudizi e non chiudersi dietro le proprie barriere culturali”.

Luca, a Londra da 13 anni, è l’esempio di chi viene fin qui per realizzare un sogno e, lavorando duramente, lo corona andando oltre gli ostacoli e rendendoli parte di un cammino verso la meta. Gli chiedo quali sono i tre consigli che darebbe a chi, come lui 13 anni fa, oggi decide di partire per seguire il sogno di una carriera come la sua.

“Non è una domanda semplice a cui rispondere ma il primo consiglio che darei (non necessariamente in ordine di importanza) è quello di curare il proprio livello di comunicazione: bisogna essere capaci di esprimersi ad un livello molto avanzato, possedere un ottima proprietà di linguaggio ed essere sempre appropriati a seconda della situazione. Il punto fondamentale è che bisogna evitare di mettersi nella condizione in cui si possa essere guardati attraverso i filtri di uno stereotipo che teoricamente si può rappresentare. Al contrario, il rischio è quello di essere giudicati per il modo in cui si esprime un concetto piuttosto che per il concetto stesso. Non suggerisco di “non essere” italiano ma il livello di inglese in certe carriere è fondamentale. Il secondo consiglio che mi sento di dare è quello di non sottovalutare mai quanto si possa imparare anche dalle persone o dalle circostanze più inaspettate. La multiculturalità di questa città garantisce la possibilità di essere sempre sottoposti a stimoli diversi, vivere rinunciando al confronto in nome della “hubris” vuol dire rinunciare alla possibilità di crescere ed imparare cose nuove. In passato mi è successo varie volte di dover poi riconoscere che certe situazioni erano diverse da quello che pensavo, insisto: bisogna aprire la mente in ogni direzione e senso questo concetto possa avere. Ultimo consiglio è rivalutare e dare valore alla propria appartenenza: sono convinto che possa essere un vantaggio usare la propria “italianità”. Noi infatti siamo un popolo abituato ad esprimerci  in maniera forbita, possediamo un naturale charme che ci rende dei grandi comunicatori, qualità che è molto apprezzata oltremanica e che se sfruttata, può portare molto in alto”.

Saluto Luca cercando di immaginarlo indietro nel tempo, 13 anni fa, come un semplice studente con i dubbi che tutti quelli che hanno il coraggio di buttarsi in un avventura nuova, ma di cui non si conosce il finale, ad un certo punto si trovano ad affrontare. Lo guardo e vedo l’uomo che oggi è il primo direttore di una delle istituzioni nel campo dell’educazione a cui il mondo di certa musica guarda con attenzione e che conserva ancora nello sguardo la luce dell’entusiasmo vero, quella passione sfrenata unita a grande talento ed ambizione che, penso, Londra sa riconoscere e premiare.

3 Commenti su Luca Barassi, un italiano alla guida dell’ Abbey Road Institute London

  1. Grazie Cristina, bell’articolo. Scritto bene, utile per chi cerca motivazione e consigli veri e forti per migliorare.

    • admin_londra // 20 giugno 2015 a 10:37 // Rispondi

      Grazie a te Fabrizio per il tuo feedback! Mi fa piacere ti sia piaciuta questa intervista che spero sia d’ispirazione ai molti che lavorano sodo per raggiungere i propri obiettivi!

  2. Ruggiero Annunziata // 27 giugno 2015 a 22:21 // Rispondi

    Storia impressionante e bella intervista. Complimenti a Luca Barassi per la brilliante carriera.

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