Lockdown, il tempo si è fermato anche a Londra
Da dove sono seduta nel mio appartamento a Nord di Londra pare che il mondo si sia fermato. Da settimane ormai, la mattina mi sveglio con il verso degli uccellini a coprire quello che fino a qualche tempo fa era il rumore del traffico cittadino che, seppure in lontananza, era il sottofondo a scandire le ore delle nostre giornate. Ora un silenzio innaturale interrotto solo dai suoni della natura, avvolge la città con le sue strade deserte, le gallerie chiuse ed i monumenti ad osservare impassibili il tempo trascorrere lentamente come mai.
Andare a fare la spesa è diventato il momento più eccitante della settimana, se non dovessimo indossare una mascherina molte di noi probabilmente metterebbero anche il rossetto. Camminando nell’ora di esercizio quotidiano concessaci ancora qui oltremanica, non si può fare a meno di notare l’espressione guardinga delle persone che, mentre avanzano mantenendo la distanza di sicurezza di almeno due metri, già guardano a chi arriva di fronte come ad un nemico, pronti a deviare il tragitto come in una immaginaria gara di slalom in cui lo scopo è non permettere mai la vicinanza con un altro essere umano.
Giorno dopo giorno, armati di igienizzante, guanti e le immancabili mascherine FPP3, FPP2, KN95 e via con sigle impronunciabili a decretare l’efficacia di questi strumenti di difesa, ci abituiamo lentamente ad una nuova routine solitaria.
Ma torneranno momenti migliori, mi dico.

Credit: Alessandro Mariscalco
La tecnologia è diventata l’arma di salvezza che ci permette di buttare un ponte tra noi e le nostre famiglie, i nostri amici e parenti, mentre nuove dinamiche cominciano a ridisegnare le nostre società. Zoom, skype, whatsapp, houseparty e un numero indefinito di apps ci vedono agganciati agli schermi dei nostri cellulari e laptop in quella che è diventata l’ora della socialità settimanale con chi, al momento, non sappiamo ancora quando potremo rivedere.
Le distanze improvvisamente sono diventate più grandi appesantite dalla dimensione dilatata del tempo che non ha più la specificità di prima. Non possiamo pianificare il prossimo weekend a casa dai nostri genitori e non possiamo prenotare un aereo che non partirà ancora per chissà quanto tempo. E immagino chissà quante altre donne come me si osservano la pancia di donna incinta al settimo mese senza aver avuto una carezza dei futuri nonni che da anni probabilmente già trepidamente aspettavano questo momento così speciale, un tempo irrecuperabile nella sua unicità, ma va bene, mi dico, non fa nulla, perché io almeno faccio parte della categoria dei privilegiati.
I privilegiati di questi tempi, coloro che condividono questa nuova quotidianità con i compagni di avventura che hanno scelto, nel comfort di una casa con gli spazi e i colori di cui abbiamo voluto circondarci. E fa male soffermare il pensiero su chi invece vive una realtà parallela, i nuovi invisibili.
La lista dei nuovi invisibili è lunga e non ha un ordine gerarchico, la sofferenza non ha competizione quando il comun denominatore è la solitudine.
La solitudine di coloro che vivono soli in appartamenti minuscoli con magari neanche un balconcino a mimare la possibilità di una boccata d’aria fresca fuori di casa. Quella di chi invece vive con troppi coinquilini, i cosiddetti “nuovi immigrati” che vivendo in sovraffollati spazi per cui pagano buona parte del guadagno mensile, non hanno neanche il diritto ad arrabbiarsi se qualcuno non segue le regole mettendo la loro salute a rischio, non hanno nessuno a cui appellarsi. La solitudine degli expat rimasti bloccati da questa parte della manica e che non sanno quando rivedranno i propri cari, funerali non attesi e distanze incolmabili, improvvisamente ci fanno sentire come se vivessimo dall’altra parte del mondo in tempo di guerra e non ad una distanza che normalmente sarebbe coperta in un paio d’ore di viaggio dagli abbracci che ora mancano.
La solitudine dei genitori single che 24 ore su 24 possono contare solo sulle loro forze, e poi quella delle vittime di violenza abbandonate alla crudezza di questa situazione e senza il sollievo di qualche ora di libertà da chi ora ha una scusa in più per scaricare la propria frustrazione su chi è senza difesa.
E mentre fuori splende il sole in uno scenario di una Londra pacifica, dai ritmi lenti e ad un’andatura inquietantemente umana, la solitudine e l’alienazione si consumano al di là di alcune di quelle finestre da fuori così belle da guardare nelle loro costruzioni di mattoni rossi.
I due volti di questa Londra in lockdown sembrano la composizione picassiana di una società schizofrenica che da sempre mette insieme ricchi e poveri in uno stesso quartiere ma separati da barriere invisibili eppure impossibili da ignorare. Nessuno è uguale in questa città e se la diversità è da sempre parte della sua bellezza, in questi tempi di pandemia le diseguaglianze diventano troppo forti uccidendo in numeri maggiori i poveri, le minoranze, la classe lavoratrice che pagano il prezzo di non poter avere uno stile di vita diverso.
E intanto il sole continua sfacciatamente a splendere lì fuori. All’improvviso la primavera ha sfoggiato il meglio di sé adornando le strade deserte di colori sgargianti e profumi mai prima rivelati sotto l’odore più forte del traffico incessante.

Credit: Alessandro Mariscalco
Mentre cammino per sgranchirmi le gambe vedo due bambini del quartiere giocare a pallone nella strada vuota e penso che deve essere meraviglioso per loro avere questa libertà, mi fa pensare a quando ero ragazzina io e giocavamo a nascondino per le strade del paesino in cui sono cresciuta.
Ma siamo a Londra e questo ricordo sembra il tassello sbagliato di un puzzle complicato.
Come se fossimo finiti in una puntata perversa di qualche serie televisiva sci-fi non siamo più in controllo delle nostre vite, viviamo attaccati alle feed dei nostri social media e controllando le ultime notizie per sapere quando saremo autorizzati a tornare alla “normalità” mentre lo spettro di una crisi economica di cui l’entità pare ancora incalcolabile ha già spezzato i piani di quei molti che il lavoro l’hanno già perso e che ora sono alla ricerca di un alternativa mentre cercano di far quadrare i conti tra affitti, mutui e bollette.
La “normalità”.
In questi giorni si comincia a parlare di possibili alternative al lockdown in cui siamo tutti bene o male a malincuore intrappolati. Ma i piani sono fumosi e la confusione regna sovrana in terra di Albione mentre ci si chiede se, come, e quando torneremo davvero a ciò che eravamo prima?
Probabilmente no, penso io.
In questa nuova dimensione sospesa in cui in milioni ci troviamo, le persone hanno smesso di correre, i treni partono vuoti e i bambini, i più resilienti tra noi, riempiono le loro giornate di nuove avventure con i genitori che probabilmente non hanno mai visto così tanto in vita loro mentre, inesorabilmente, ogni giorno la nostalgia di un abbraccio diventa più forte facendoci riscoprire l’importanza di ciò che da sempre diamo per scontato, le piccoli e grandi libertà che finora hanno disegnato le nostre vite.

Credit: Alessandro Mariscalco
E chissà come sarà questo ritorno alla “normalità”. Sarebbe bello che avesse un po’ il sapore della solidarietà che alcuni hanno riscoperto nei propri quartieri con iniziative di supporto ai più vulnerabili che in alcuni casi, hanno tolto quella patina di indifferenza che da sempre avvolge chi abita in questa città così vasta e densa di vite. Sarebbe bello che tramutasse in investimenti la riscoperta fondamentale importanza dell’NHS ai cui eroi battiamo le mani ogni giovedì ma per cui ad oggi, non sono previsti piani concreti di supporto. Sarebbe bello che la “normalità” tenesse aperti i vasi di pandora che inevitabilmente sono stati scoperchiati in questo periodo di crisi sociale che voglio credere, nasconda delle opportunità.
Opportunità che speriamo la nuova normalità ci aiuterà a cogliere migliorando un pochino l’attitudine generale verso l’altro mentre aspettiamo di poter tornare a riversarci nelle strade, abbracciarci e guardare a questo periodo come un momento di riscoperta e un ricordo passato.
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