Carlotta Cardana: una fotografa italiana a Londra.
Immaginate di conoscere il mondo attraverso le immagini di una rivista. Paesaggi, uomini e donne, culture; in una parola, storie. Le storie raccontate attraverso gli scatti di chi, per curiosità, è andato a cercare il significato che una crisi economica ha avuto nella vita di qualcuno, per noi distante un emisfero; o quello che una subcultura può nascondere attraverso un codice estetico, o ancora quello di un fenomeno com’è la nuova emigrazione giovanile italiana. Storie. Una diversa dall’altra, conosciute grazie a chi le è andate a scovare, armata di una macchina fotografica e la dote più importante si possa avere per possedere e poi raccontare una storia: la curiosità.
Carlotta Cardana, 31 anni di Verbania, è una fotografa che, nata con la valigia in mano e spinta da una innata curiosità, si è avventurata in un viaggio con se stessa, per capire cosa si nascondesse dietro le parole e le storie lette in riviste, o ascoltate da chi le conosceva, per raccontarle a sua volta sotto forma di scatti. Bellissimi scatti. Un viaggio attraverso gli occhi di una giovane fotografa che ha capito presto che il mondo non è chiuso in una cittadina, per quanto bella, come quella di Verbania, o nel mondo universitario come a Torino, e neanche a Milano con la sua attività economica e quel pizzico di diversità che l’attraversa. Parti di un mondo più grande che vale la pena visitare. E raccontare. E allora via col primo aereo a 16 anni verso gli Stati Uniti per un anno di liceo. Ancora inconsapevole dell’amore che sarebbe nato per il teatro che avrebbe in qualche modo condizionato il suo futuro di donna dalla valigia sempre pronta.
A 20 anni, studente del Dams di Torino, Carlotta ha lavorato per il circo contemporaneo come producer/tutto fare, attività poi capitolata nell’amore per le immagini. Scatto dopo scatto, ora per uno spettacolo, poi per un ritratto, ha deciso di perfezionare la sua tecnica. E così una volta compresa la missione da voler compiere, ha lasciato il lavoro e si è trasferita a Milano. Next stop “L’istituto italiano di fotografia” di Milano. Next, but not last. Lavorando come assistente per fotografi di moda, continua a perfezionare la tecnica mentre intanto consegue la laurea.
Ora di riprendere la valigia, il 23 dicembre 2007 sale su un volo, destinazione Buenos Aires.
Mio fratello era in procinto di tornare dall’Argentina dove stava ultimando la sua tesi di laurea sulle conseguenze della grande crisi economica del 2001 sulle comunità. Mi raccontava le storie di queste persone che si erano improvvisamente ritrovate ad essere povere. Ho deciso che volevo saperne di più, osservare, esperire, comprendere. Raccontare queste storie di povertà e grande dignità di un popolo intero che a fatica cercava di reinventarsi e ricominciare da capo.
Nasce così il primo fotoreportage sulla condizione dei Cartoneros e la vita dei lavoratori nelle fabbriche occupate di Buenos Aires.
La fotografia è una sorta di passaporto nelle vite degli altri. Vestita in modo più misero possibile, con la macchina fotografica nascosta, ho cominciato ad andare personalmente nelle fabbriche, cercando di capire cosa stesse accadendo, scattando quelle foto che per me dovevano spiegare al mondo esterno quale fosse la verità nascosta dall’apparenza. E’ stata dura, specie all’inizio senza una parola di spagnolo e in zone che obiettivamente erano pericolose, in un contesto di povertà estrema dove le persone erano disposte ad uccidere per impossessarsi di un piccolo oggetto prezioso, come per esempio poteva essere un anello. Un’esperienza unica, irripetibile.
Raccontare una realtà nuova attraverso le foto…
Per me essere fotografa, non ha mai voluto dire la mera azione di scattare fotografie, ma conoscere una storia da vicino e cercare di imprimerla su carta per fare in modo che più persone possibili possano condividerne un pezzettino. Scattare le foto è solo l’ultima fase di un processo conoscitivo.
E poi dopo Buenos Aires è stata la volta di Città del Messico, dove Carlotta ha cominciato a lavorare fin da subito come free-lance per diverse testate, creandosi anche un certo buon nome in un ambiente sessista e classista dove farsi spazio non è così semplice..
L’America Latina è stata il mio mondo per due anni e mezzo, lavorativamente sono cresciuta molto ed ho fatto bellissime esperienze, ma la situazione sociale non era delle più semplici e così con il mio ragazzo (poi diventato mio marito), regista e videomaker, abbiamo deciso di partire per Londra, città europea che intuivamo avrebbe avuto molto da offrirci.
Ma cosa vuol dire essere fotografi a Londra, cosa offre questa città che altre capitali europee non danno?
Avendo vissuto tanti anni all’estero si subisce una sorta di processo di “apertura mentale” che però è ad unica direzione: non si è disposti a tornare indietro, sarebbe qualcosa di totalmente innaturale. Pensare per esempio di tornare in Italia quindi, era fuori discussione, con il suo provincialismo e la quasi nulla valorizzazione della mia professione, sarebbe voluto dire dover rinunciare a ciò che ho imparato in tanti anni di esperienze. Londra è una città cosmopolita che ti offre stimoli culturali continui. Mille sono le opportunità e grande la competizione. Poi qui il mercato valorizza ed incoraggia l’iniziativa personale. C’è una ricerca del talento, della personalità in un progetto e si tende a dare una possibilità a chi lo merita. Questo mi ha permesso di tornare ad essere autoreferenziale. Fotografare per il piacere di fotografare, di raccontare. Cercare la storia, farla mia e poi trasformarla in un progetto in scatti, qui in qualche modo è più semplice, perché a sostenerti hai la speranza di raggiungere i tuoi obiettivi, quella speranza che in Paesi come in Italia purtroppo è ridotta al minimo e spesso è qualcosa a cui alla fine tocca rinunciare.”
Ed è a Londra che tra i vari progetti di questa giovane fotografa italiana, ce ne è uno che viene notato ed ospitato anche dalle pubblicazioni del Guardian in Uk. Si chiama Mod (in Italia ospitato dalle pagine di Rolling Stones) e fino al 31 maggio sarà ospite della mostra Photofusion Select 2013.
“Mod è un progetto nato dalla mia curiosità, nel capire una cultura che mi ha sempre attratta. A Londra non potevo fare a meno di guardarli per strada, mi sembravano “quintessenzialmente” britannici ed ho sempre provato una certa ammirazione per il loro life-style, uno stile anche costoso da mantenere e visualmente davvero molto interessante. Ma ciò che mi sembrava ancora più interessante era l’appartenenza ad un subcultura, e più di tutto l’identità di coppia all’interno della stessa. Le coppie mod sono legate da una filosofia di vita comune ed ai miei occhi è come se una parte della coppia non potrebbe vivere senza l’altra. Il progetto è nato così. Ho cominciato a frequentare ambienti e serate della scena mod, a parlare con loro, farmi raccontare, cercare di capire e poi a scattare: loro con il loro stile, nelle loro case, con il loro modo di vedere la vita. A Febbraio poi con una foto di questo progetto, ho partecipato ad una mostra collettiva organizzata dal laboratorio di cui mi avvalgo per stampare le mie foto, il Labyrinth Photographic di Bethnal Green, mostra che è stata una vetrina di indubbia importanza per il mio lavoro.. ed eccoci qui…”
Cosa è cambiato nella Carlotta fotografa qui a Londra?
In un certo senso sono tornata alle mie origini, sono riuscita ad essere chi voglio essere, ascoltando le mie esigenze di fotografa e cercando di caratterizzare il più possibile i miei lavori con la mia personalità. Sono tornata alla pellicola mio antico amore, che con il suo stile “old-fashion” racconta gli scatti in uno stato mentale differente, cogliendo l’irripetibilità di un momento. Lavorare come free lance in una città stimolante come Londra poi, permette di coniugare l’esigenza di conoscere nuove storie e nuove realtà, con quella di mettersi sempre alla prova con nuove sfide. E’ un’esperienza eccitante.
Carlotta e la sua valigia in mano… dove andrà?
Per ora non ho intenzione di cambiare città, al momento penso a Londra come un posto dove poter rimanere. La certezza di poter raggiungere degli obiettivi, anche se a costo di sacrifici, è uno stimolo a continuare a perseguirli. I compromessi in questo lavoro esistono, ma bisogna essere capaci di non dimenticare mai le ragioni per cui si è scelto di essere fotografo, perseguire la fotografia come la si vuole, altrimenti la creatività muore e diventa un lavoro come qualsiasi altro. E’ una sfida da raccogliere e a Londra si può fare.
Thank you for stopping by my blog.. Hope to see you here again!