Brexit, questo sconosciuto

BREXIT. Una parola tanto sinistra quanto poco conosciuta fino a quel maledetto venerdì di giugno quando prima che l’alba illuminasse attraverso le fitte nubi la città che non dorme mai, i londinesi si  svegliavano all’ombra di presagi oscuri in un’atmosfera diversa, stranamente cupa e il futuro più incerto. Dove sono finiti gli accoglienti british che davano importanza solo alla meritocrazia e non alla provenienza? Perchè improvvisamente non ci vogliono più? Che fine hanno fatto i valori di libertà e apertura mentale conosciuti una volta trasferitisi oltre manica?

E qui casca l’asino.

Perché quel maledetto venerdì a svegliarci sotto un cielo diverso forse siamo stati noi, italiani di Londra ma non di Britannia. Noi a Londra, abbiamo conosciuto cosa vuol dire vivere in una città cosmopolita, dalla mentalità aperta, vero, delle mille opportunità offerte a chiunque fosse in grado di dimostrare di meritare una chance a costo di grandi prove certo, prove di resistenza vera, lotte contro una competizione che non vede uguali in altre città europee almeno. Ma poi, curriculum dopo curriculum, colloquio dopo colloquio, sconfitta dopo sconfitta, per chi non si è arreso nel frattempo, molto spesso è arrivato il momento di gloria. Quel momento in cui ci si è sentiti forti di sè, orgogliosi di non avere mai mollato la spugna, felici di aver guadagnato il proprio piccolo posto al sole nella metropoli una volta famosa per le sue piogge e le sue nebbie.  Londra per noi è stato un po’ come vivere in una bolla, tra britannici e popoli di tutto il mondo ma in un piccolo cosmo diverso dal resto del Paese.

Finché non è arrivato il Brexit.

BREXIT: ma che poi che vuol dire? Uscire dall’Europa, timore del crollo finanziario, terrore di essere espulsi dalla seconda patria come un qualsiasi “extracomunitario” perché è così che ci piace chiamarli quando siamo nei confini dello stivale no? Extracomunitari, quella parola che sa tanto di deprivazione, incapacità di far parte di una comunità che ha stessi diritti e doveri.

Non è successo. A parte la delusione e le serate infiammate di polemiche con amici e amici degli amici, chi a sostenere una teoria, chi quella contraria, a tre mesi dal terribile voto ancora non è successo nulla. L’economia ha tenuto, lo scenario politico è cambiato senza terribili scossoni, le case si continuano a vendere e anche gli italiani, nonostante tutto, possono ancora viaggiare con la propria carta d’identità.

Per ora.

Perché non può durare per molto ancora, dice la May. I britannici devono avere priorità nella selezione di posti di lavoro tuona la Rudd. Non abbiamo bisogno dei medici europei afferma il buon Dickson capo dell’ordine dei medici inglesi… E noi?

La risposta è incertezza.

Aprile/maggio sono i mesi in cui il semi-nuovo capo del Governo promette di premere il pulsante rosso, quello che dovrebbe far partire il via al meccanismo per distaccare la Gran Bretagna dal vecchio continente mentre due sono gli anni che presumibilmente ci vorranno a far in modo che il processo abbia compimento e che l’Europa torni ad essere per i britannici un paese in cui andare in vacanza…

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